martedì 9 novembre 2010

Introduzione

In Italia sono poche le istituzioni che si occupano della funzione terapeutica
del teatro e delle arti in genere, tra questi enti vi è la Federazione Italiana
Teatroterapia, con sede a Monza, che ogni anno promuove un simposio di studio,
raccogliendo le sinergie di Enti Locali, Istituzioni Teatrali, Università e
Associazioni, sull’argomento, ed è proprio in questa atmosfera di intenti che
l’Associazione Politeama, grazie all’intelligente sostegno del Comune di Varedo
in provincia di Milano, ha potuto realizzare questo simposio.
Il convegno1 che presentiamo vuole essere un momento di riflessione intorno
al teatro inteso come metafora della vita per cercare di comprenderne i confini con
la realtà, dove termina l’uno e prende il via l’altra, una ricerca per sviscerare quattro
temi nodali della teatroterapia o, come si suole dire, del teatro in funzione
sociale e terapeutica.

Il primo tema si sofferma sulla relazione corpo-mente, questione che ha già
introdotto anche il sindaco, affermando che da soli non siamo nessuno. Noi concordiamo
con questo ed è il taglio che vogliamo dare alla teatroterapia; può sembrare
una questione privata ma, in realtà, non lo è; o meglio, è sì una questione
privata, nel senso che noi lavoriamo su noi stessi quando entriamo in uno spazio
scenico, ma è anche e soprattutto una questione di relazione con noi stessi e con
l’altro da noi.

Prende dunque forma la tematica dell’ io, che sarà affrontata ampliamente da
Vezio Ruggieri.
Quello che c’interessa rilevare riguarda il tema del setting teatrale, luogo dove
si sviluppano relazioni molto lontane ma contemporaneamente molto vicine alla
vita, dove c’è certamente la finzione del teatro che potrebbe allontanarci da quello
che è il nostro quotidiano, ma dove scopriamo che continuamente la finzione
ci porta in contatto con qualcosa di veramente autentico che è in noi: un nucleo
interiore che chiamiamo “corpo-mente-cuore”, aggiungendo anche “cuore” alla
relazione in oggetto oggi -“La relazione tra il corpo da un punto di vista fisico,
fisiologico, muscolare”-, ma anche cognizioni, emozioni e sentimenti.
Nel secondo argomento, affronteremo il linguaggio, perché sappiamo che le
norme di comunicazione che usiamo costituiscono i linguaggi del cambiamento.
Il linguaggio del teatro, in senso di esperienza rituale, cambia le persone facendole
accedere in uno spazio dove c’è la possibilità di vivere situazioni che non si
conoscono. Esso sarà dunque l’argomento cardine sul quale punteremo l’attenzione
domani, con gli interventi di Claudio Bernardi, antropologo, e di Ivano
Gamelli, pedagogo, poiché sappiamo che ciò che fa terapia in teatro è proprio il
dal teatro alle arti terapie 30-06-2006 10:16
linguaggio o, più esattamente, la funzione del linguaggio teatrale che sviluppa una
certa creazione dentro di noi. Naturalmente non si può parlare di un unico linguaggio
teatrale ma di una molteplicità legata ad esempio al training dell’attore,
all’immaginazione, alla creazione dell’opera, ognuno dei quali sviluppa in noi
alcune istanze di liberazione.

Il terzo tema è l’arte, perché noi facciamo teatro ed è quest’arte che si vuole
mettere al centro della discussione, poi viene la terapia; ci allontaniamo perciò
dallo psicodramma e da tutte le tecniche analitiche di gruppo, concentrandoci
sulla questione della messa in forma e della ripetibilità del nostro gesto: questo è
l’arte teatrale, ma non solo, questo è quello che fa il teatrante, mentre noi non
siamo teatranti DOC, siamo teatranti senza necessità, nel senso che facciamo
molta attenzione al contenuto emotivo cercando di unire l’estetica dell’arte all’ascolto
delle emozioni ed affermandone l’importanza del contenuto emotivo.
Su questo argomento interverranno Claudio Merini e Claudio La Camera con
i quali vorremmo discutere sul come fare teatro poiché, se non è nelle nostre
intenzioni fare quello classico, né tanto meno quello d’avanguardia, allora che
teatro vogliamo fare?
Il quarto tema è il corpo in scena, prospettiva all’interno della quale saranno
convogliati gli argomenti trattati nei giorni precedenti proprio a rilevare come il
corpo sia simbolo di benessere. Noi facciamo teatro per sviluppare, per creare un
certo equilibrio in noi, non vorremmo curare col teatro, vorremmo solo riuscire a
stare bene col teatro. Tale tematica, approfondita nell’intervento di Enrichetta
Buchli, sarà dedicata a Jung, in quanto psicanalista che sviluppa il “simbolo”,
“l’archetipo”, il “disegno”.
I laboratori che si faranno sono da considerarsi introduttivi alla teatroterapia
ma, allo stesso tempo, di approfondimento poiché il nostro indirizzo è un indirizzo
di artiterapia, nel senso che il teatro è concepito da noi come l’insieme delle
arti: la musica, la scultura (nella creazione di oggetti simbolici che vengono poi
usati per la scena), etc.
Per quanto riguarda l’intervento di Vezio Ruggieri, volevo fare una piccola
introduzione perché, probabilmente, il professore ci guiderà verso un aspetto specifico
che è il suo campo di lavoro, quello della psicofisiologia.
Il nostro incipit è incentrato sul corpo, la mente, il cuore, in altre parole su
quello che chiamiamo l’unità psicofisica, la relazione autentica con noi stessi. Ma
questa relazione, dal punto di vista della performance, crea una realtà. Attraverso
l’esperienza del teatro, esprimiamo un modo di essere. Nel momento in cui noi ci
inseriamo in un setting rituale, creiamo una realtà, una nostra realtà originaria che
passa attraverso il nostro corpo, la mente e il cuore, cioè nella nostra fisicità, nella
nostra razionalità e nella nostra emotività. Quando noi separiamo questi elementi,
lo facciamo solo ed esclusivamente per motivi di studio, in realtà quando noi
agiamo in questo spazio rituale, queste nostre componenti sono alchimicamente
fusi.


Ecco da dove viene l’alchimia del teatro ed ecco perché gli elementi portanti
del nostro io, della nostra persona, sono già un tutt’uno. Questa è la nostra realtà,
vera, che si esprime da sola -noi non abbiamo bisogno, paradossalmente, di testi
teatrali o di fare molto training fisico… no, la realtà del corpo-mente-cuore si
esprime da sola senza troppe necessità, basta creare un setting propositivo di fiducia,
di lavoro, di precisione e questa realtà si esprime in modo naturale.
E non è la realtà quotidiana, è una realtà extra-quotidiana. Non è il principio
di realtà di cui parla Freud, ciò che noi dobbiamo mettere in atto per far fronte
all’ambiente esterno. Qui non c’è ambiente esterno, noi siamo in un setting protetto,
lontano dall’ambiente esterno, non c’entra il principio di realtà, noi possiamo
usare altri principi all’interno del nostro setting e non è nemmeno paragonabile,
da un punto di vista culturale, al realismo. Non è che noi vogliamo portare
un’esperienza di realismo, né di verismo, non c’entra. La realtà del teatro è, secondo
me, l’inaspettato, qualcosa che ci sorprende, il fuori programma. Noi possiamo
fare tutti i programmi, anche come teatroterapeuti, possiamo stilare ogni progetto
di seduta e poi, quando ti trovi di fronte al gruppo, c’è sempre il fuori programma,
è la regola, quindi noi dobbiamo avere fiducia nel processo più che nel
programma. La realtà del teatro che è l’indeterminabile a priori, diviene però il
determinante, qualcosa che poi ci determina, determina chi siamo dentro veramente,
anche nelle nostre relazioni con gli altri. In quel luogo sveliamo i nostri
processi relazionali, lì non possiamo fingere, quando siamo nel setting, non possiamo
essere falsi, allora, il teatro acchiappa la realtà del corpo-mente-cuore come
se facesse da catalizzatore di questa finzione-realtà. Una realtà che nessuno fino
ad ora aveva osservato poiché essa si può osservare solo nel momento in cui accade,
ed allora, noi cosa mettiamo in scena? Mettiamo in scena ciò che non conoscevamo
prima ed il pubblico cosa vede quando viene inserito nel setting del teatroterapia?
Il pubblico è spiazzato indubbiamente, ma non nel senso di sconvolto,
o sobbalzante, ma nel senso di una relazione più sottile perché nella misura in
cui noi mostriamo tutto questo processo trasformativo, è chiaro che il pubblico
non può stare tranquillo a guardare, poiché esso verrà per rispecchiamento coinvolto.

Orioli

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