martedì 9 novembre 2010

Anima e Corpo p18

Ritengo piuttosto che un facile esempio da documentare possa essere proprio
quello del linguaggio verbale: i suoni prodotti in una determinata lingua rappresentano
il prodotto di uno schema linguistico, quindi di un atteggiamento motorio
espressivo.
Nel teatro si lavora sulle corde vocali in vibrazione, sulle onde sonore che raggiungono
i risuonatori, su ciò che la mente traduce del nostro comportamento
manifesto.
Noi, attualmente, consideriamo il linguaggio come un gesto sonoro complesso.
Per esempio, il Papa attuale, dopo tanti anni in Italia, si è preso questo atteggiamento
di lingua [in altre parole parla l’italiano con accento tedesco] perché il
processo motorio che produce il linguaggio non può cambiare, bensì muta la sua
personalità. Se voi cominciate ad osservare gli schemi espressivi del corpo nel
dettaglio, vedrete delle varianti strutturali. Cosa vuol dire? Che le informazioni
del corpo (secondo quel determinato livello di tensione -perché il corpo lo dovete
immaginare come un distributore di tensioni, qui più teso, qui meno teso-…)
arrivano al cervello per formare l’auto-rappresentazione e danno luogo ad un processo
immaginativo auto-rappresentazionale che, a sua volta, controlla le afferenze
che vanno alla periferia del corpo e che danno “istruzioni” precise ai vari
muscoli, al fine di fare in modo che si comportino sempre in un certo modo,
coerente con lo schema dell’auto-rappresentazione. Qui, tale termine va inteso in
senso molto largo; esso si carica progressivamente a buccia di cipolla, di livelli
esperienziali.
L’auto-rappresentazione non è lo schema di un corpo appoggiato nel nulla,
bensì quello di una pluralità di linguaggi appoggiati ad una storia personale, radicati
in essa. Il corpo si traduce anche in quella parte di controllo delle emozioni,
nelle rughe, così dette “d’espressione”. Nell’espressività corporea risiedono la
storia dell’individuo e dei suoi abituali schemi espressivi.
Ora, il teatro, in quanto tale, interviene direttamente su questi processi, qualche
volta provocando dei cambiamenti strutturali -che possono anche essere pericolosi-.
Ogni cambiamento, se avviene all’interno di un setting giusto e di una
dinamica di sostegno e di appoggio, può, mettendo in discussione la stabilità della
propria identità, avviare un processo trasformativo atto a far prendere coscienza,
alla persona, delle proprie rigidità e ad allargare la propria dimensione espressiva
e comunicativa. Tali cambiamenti modificano fortemente anche l’auto-rappresentazione,
vale a dire, il senso di sé. Questo è un passaggio molto importante, perché
poi c’è un’etica della psicoterapia e del processo di intervento sanitario.
Noi parliamo dell’importanza della costruzione del sentimento del diritto di
esistere. Se il diritto di esistere si riferisce ad un tema di natura strettamente politico,
si tratterà di esistere in modo decoroso, quindi di avere una casa, un lavoro
ecc. Quando, invece, il sentimento del diritto di esistere si sposa con il benessere
personale, allora si parla di sentirsi in diritto di occupare uno spazio umano. Ora,
questo sentimento del diritto di esistere è un capitolo della fisiologia. Se il sentimento nasce dall’organizzazione delle tensioni muscolari, ci sono persone che
hanno bisogno di ricostruirsi tramite l’apporto che il setting teatrale può dare.
Mi rifaccio a quello che diceva Walter Orioli prima: “È fondamentale nel teatro
la costruzione della presenza… scenica”.

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