martedì 9 novembre 2010

Domande e risposte 2

Walter Orioli: “Rispetto a questo problema o tematica dell’auto-rappresentazione,
da un punto di vista specificamente teatrale, che rapporto c’è tra la costruzione
del personaggio (o dell’azione scenica) e l’auto-rappresentazione di se stessi?”

Vezio Ruggieri:
Questo è un dibattito che si trova anche in altri contesti, negli scritti tra
Diderot e Stanislavskij. Molti teorici di teatro sono affascinati da Diderot e dicono
che lui ha ragione. Poi, nella pratica il modello pedagogico stanislavskijano è
il più praticabile. La domanda si riferiva al lavoro che si fa su un personaggio,
cominciando a capirne la dimensione espressiva di piccoli atti, delle piccole azioni.
Però Diderot dice qualche cosa che fa riflettere anche, scrive: “il grande attore
non si identifica completamente col personaggio”. Non si identifica, questo è il
paradosso. Perché se si identificasse col personaggio, non potrebbe portare fino in
fondo la sua esperienza teatrale. “Se io mi commuovo ed ho una crisi di pianto”,
dice Diderot, “mi sono talmente identificato col personaggio che non posso procedere
a recitare perché mi si blocca la voce etc.”.
L’emozione portata fino in fondo, non soltanto accennata -accennarla significa
produrla in realtà-, scavalca l’identità nucleare del soggetto e può esser di
impedimento all’esperienza teatrale. Gli sbalzi d’identità, che nel teatro si sperimentano,
sono sbalzi non sempre tollerabili dall’io. Sono tollerabili quando c’è
una struttura nucleare dell’io così forte e stabile che riesce ad assumere le diverse
sub-identità senza perdere un minimo di distanza critica da sè. La nostra ricerca
ci porta ad osservare che questo annodarsi delle sub-identità è un fatto fisico
che avviene attraverso i muscoli…